Attenti a quei due…

Non è un monito ma una garanzia. Inseguire le idee ed iniziative della coppia Giuseppe Paroli – Don Dario Marcucci porta lontano. Così lontano che le rovine della miniera di Cabernardi stanno per diventare, restaurate,  il Parco Archeominerario dello Zolfo delle Marche.
Giuseppe ParoliEra da tanto che su di loro si concentravano tutte le attenzioni. La loro passione per la miniera, la loro febbrile ricerca di oggetti e di foto, quella strana tendenza ad esaminare, analizzare, confrontare documenti, tabulati e vecchie mappe. Troppo curiose le loro abitudini per non destare sospetti. La coppia ha avuto un modo di agire da manuale. Colpendo senza scrupoli e con una sistematicità che non ha lasciato scampo.  Sostengono che, all’inizio, volevano solo allestire una piccola mostra della loro collezione in un locale vicino alla chiesa delle Spinelle. Affermano addirittura che, senza rendersi conto, nel 1983, si sono allargati ad una mostra fotografica coinvolgendo la buona ed ingenua volontà di alcuni quando, sempre sotto la loro inziativa, fu ripristinata la tradizione della Santa Barbara. Infine quando convinsero l’allora sindaco Antonio Righi nel 1999 a mettere alla disposizione della collezione, diventata nel frattempo museo, il primo piano della scuola media con tanto di comodato.
Un sodalizio travolgente quello di Paroli-Don Dario che spinse addirittura alcuni ad unirsi in un associazione culturale. Confessano che “fu quasi per scherzo, in risposta ad uno che chiedeva il perché facevano tutto questo, che Paroli rispose: vogliamo far riaprire la miniera”. Una frase lanciata a caso che fece strada fino a “corrompere” i senatori Primo Galdelli e Marisa Abbondanzieri e  si trasformò in una legge che istituì il Parco dello Zolfo delle Marche. Un sodalizio che in realtà  mirava a ricordare i lavoratori della miniera di Cabernardi. Un sodalizio Giuseppe Paroli-Don Dario Marcucci che ha voluto semplicemente rendere onore ai propri padri che per una vita hanno estratto l’oro giallo zolfo per le loro famiglie.

Grazie

Ve. An.

Per approfondire …

Prima ancora che nascesse l’idea del Parco della Miniera, Cabernardi aveva il suo museo. Il Museo della Miniera è nato “da una domanda”: la domanda di un ragazzo il cui nonno era stato direttore della struttura, che si chiedeva perchè nessuno avesse fatto nulla affinché rimanesse vivo il ricordo del periodo della miniera. Nel 1983 un gruppo di persone si adoperò per ripristinare la celebrazione della festa di Santa Barbara (4 Dicembre), ricorrenza che non era stata più festeggiata dopo la chiusura della miniera. Iniziò così la raccolta di immagini e oggetti legati alla miniera. Grazie all’impegno di Giuseppe Paroli e Don Dario Marcucci, figli di minatori, venne inizialmente allestita una mostra fotografica (aperta al pubblico solo nel periodo estivo) e successivamente nel 1992 si arrivò all‘inaugurazione ufficiale del Museo, in cui furono raccolti minerali e oggetti donati dalle famiglie del posto. Nel 1997 grazie a 10 soci fondatori nacque l’Associazione Culturale “LA MINIERA” Onlus, che negli anni seguenti ha portato avanti il progetto del Museo. Il 29 aprile del 1999 viene stipulato un comodato fra l’Associazione ed il Comune per i beni (documenti, foto, reperti, minerali, ecc.) del Museo e pochi giorni dopo, in seguito a questo, il museo viene istituito presso l’ex scuola Media di Cabernardi, dove attualmente ha sede, con delibera del Consiglio Comunale. Nel 2000 l’esposizione si è arricchita di un plastico della miniera realizzato, a partire da alcune fotografie dell’epoca, dal Sig. Luigi Correani. Tuttora la gente continua a portare oggetti di ogni tipo, dai cappelli da guardiano ai libretti del lavoro, dagli scarponi alle lampade: materiale a ricordo di tutte le persone che hanno lavorato in miniera. “Un museo nato da una domanda”. Quella di un ragazzo il cui nonno era stato direttore della struttura, che si chiedeva il perché nessuno avesse fatto nulla affinché rimanesse vivo il ricordo di quando si estraeva lo zolfo”.  Una domanda che però non spiega del tutto quello che mosse per primo Giuseppe Paroli ad iniziare una collezione che andrà ampliandosi con l’aiuto e gli incorraggiamenti del suo amico Don Dario Marcucci.

Fonte http://www.parcodellozolfodellemarche.it/it/static/siti-minerari.asp

Un racconto ancora …

MONDOLFO – “All’inizio, al Centro, non ci voglio mai andare”, afferma Alessandro, 7 anni, “poi vorrei che non finisse mai”.  Una dichiarazione fatta su un tono serio, ampiamente condivisa -almeno a vedere i cenni di testa – degli ottanta bimbi iscritti al Centro Estivo di Mondolfo questo mese di luglio. Hanno tra 5 e 12 anni e ieri hanno visitato il Museo della Miniera di Zolfo di Cabernardi. Raccontano con un sorriso, a cui a volte manca un dente, che il venerdì è giorno di gita e sono venuti a  Sassoferrato per vedere quel che resta della più grande miniera di zolfo europea chiusa nel 1959. Chiusura che costrinse più di 8.000 persone a migrare per lavorare a Ferrara, Caltanissetta o a scendere nelle miniere del Belgio. Con i pullman guidati dagli autisti Romagnoli e Piccioli, sono anche andati a visitare l’esterno del pozzo di Vallotica, nel cuore del villaggio dei minatori del Canterino e nella piccola chiesa dedicata a Santa Barbara. Lì dove è possibile, senza salire in cima al Monte Rotondo, godersi di un’inaspettata panoramica della Valle del Cesano e del suo sbocco sul mare.
Un tuffo nel glorioso passato dell’entroterra a cavallo tra le province di Ancona e Pesaro che li ha lasciati esterrefatti: “Io, qui, non c’ero mai venuto”, afferma candido Mattia sul tono del “ma come mai”. “Nemmeno io”, confermano a turno Eva, Francesco e Nicolò. “Io, ci voglio ritornare con i miei genitori”, sostiene Etienne. Ed Ethan, Manuel, Sofia e Giulia approvano l’idea. Impressiona la loro disciplina e la loro buona educazione ma stupisce soprattutto come nel loro “non guardare” in realtà sanno osservare. E’ sconcertante come, partendo da dettagli come  il peso del martello pneumatico, il telefonone in galleria mangiato dall’acidità, le collezioni di lampade a carburo o delle gamelle, riescono a  trarre conclusioni crude di verità “Secondo me, afferma Tommaso  (9 anni), i minatori erano degli uomini molto coraggiosi”,  “perché la terra si muove e le gallerie crollavano” aggiunge  Massimo (quasi 10), “Era un lavoro troppo duro, commenta pensieroso, Francesco. Poi, è la volta di Matilde, 9 anni, che sorprende tutti, sussurrando: “Mio bisnonno Olindo, lui, ha lavorato qui.” Fortunata Matilde, il cicerone del museo è Giuseppe Paroli, la memoria storica del paese, fondatore con Don Dario Marcucci del museo e, in un lampo, rintraccia i registri, sfoglia i documenti e svela alla piccola che Olindo Pignatelli, suo bisnonno, era nato a Pergola, il 4 gennaio 1908, e che scendeva nelle buie gallerie con  la matricola 261.

Corriere adriatico, 19 luglio 2009, Véronique Angeletti