Aiuto arrivano i Galli …la guerra dell’Olio d’Oliva contro l’alleanza Lardo-Burro!
Il Comune di Sassoferrato e la Pro Loco, con la professionalità del progetto Ad Pugnam Parati, sfida le grandi rievocazioni storiche nel luogo dove è avvenuto una delle più decisive battaglie della storia. Quella della “Battaglia delle Nazioni” risalente al 295 a.C. in cui l’Esercito Romano vinse sulla Lega dei Gallo-Sanniti. Una battaglia raccontata da Livio nell’opera Ab urbe condita, dove morirono 25.000 nemici di Roma, furono fatti prigionieri 8000 combattenti e tra gli uomini del comandante Decio Mure, più irruente, si contarono 7000 caduti mentre tra quelli del Comandante Fabio Rulliano, che usò una tattica difensiva, più di 1700. Una manifestazione che monopolizzerà per due giorni centinaia di figuranti in costume con impressionanti scenografie. Un appuntamento incredibile che coinvolgerà l’intera città e di cui Civetta.tv parlerà raccontando la storia della battaglia attraverso la vita quotidiana dei suoi protagonisti. Un tuffo nella storia a cura di tutti i collaboratori di Civetta.tv per il piacere di ridare vita all’antica Sentinum.
Véronique Angeletti@civetta.tv
La guerra dell’Olio d’oliva contro l’alleanza Lardo-Burro
Il Vissani dell’antichità si chiamava Apicio e viveva ai tempi di Tiberio, nel I secolo d.C. Ma forse, più che un grande cuoco, Marco Gavio Apicio fu un buongustaio appassionato di cucina al punto da scrivere un libro di ricette, circa 450, un vero e proprio manuale di gastronomia intitolato De re coquinaria.
I Romani consumavano in genere tre pasti nell’arco della giornata: la colazione o ientaculum, il prandium e la coena. La colazione prevedeva gli avanzi del giorno prima per gli adulti, mentre ai bambini erano concessi dolcetti e focacce; per tutti indispensabile un bicchiere d’acqua. Per il prandium il Romano si recava di solito nei fast food dell’epoca, i thermopolia, oppure presso le locande, le cauponae, o ancora poteva comprare del cibo take away dai tanti venditori ambulanti. La coena era il pasto principale della giornata, che cominciava verso la metà del pomeriggio ed era talvolta preceduta da un bagno alle terme. A seconda dello status sociale ed economico la coena poteva essere frugale o, al contrario, ricca e composta da molte portate. I Romani non conoscevano l’uso della forchetta, ma usavano il coltello per tagliare le vivande e il cucchiaio per attingere le salse. Per portare il cibo alla bocca adoperavano le mani, alcuni in modo piuttosto rozzo, altri in maniera più raffinata usando soltanto la punta delle dita.
Gli ingredienti delle pietanze non differivano molto da quelli che ancora oggi consumiamo, uova, formaggi, frutta fresca e secca, olive, cereali fra cui il farro, focacce, pane, pesce e carni, in particolare maiali, agnelli, volatili d’allevamento e da cacciagione, lepri e conigli, e tuttavia sembra che raramente si mangiasse carne di bovini, poiché questi servivano per svolgere i lavori agricoli. Naturalmente sulle tavole dei Romani mancavano tutti quei prodotti che sono arrivati in Europa dopo la scoperta dell’America come, solo per citarne alcuni, il pomodoro e la patata, il mais e i fagioli, la zucca e i peperoni. Il vino era molto apprezzato, anche se nelle epoche più antiche consisteva più che altro in mosto fermentato, e la qualità della bevanda migliorò soltanto verso la fine dell’età repubblicana e in epoca imperiale, quando si cominciò ad importare il vino dalla Grecia. Sempre dalla Grecia arrivò anche l’usanza di miscelare il vino con l’acqua e chi beveva vino puro era ritenuto un ubriacone. Talvolta il vino era addolcito con miele e spezie.
Certamente rispetto ad oggi i cibi erano cucinati in modo assai diverso e conditi con molte spezie e salse il cui gusto, attualmente, ci farebbe storcere il naso. Ad esempio la salsa liquida chiamata garum o liquamen, a base di interiora di pesce fermentate al sole con aggiunta di sale ed erbe aromatiche, richiestissima e molto apprezzata dai Romani, nei piatti dell’epoca era un ingrediente quasi indispensabile anche se il suo sapore, e odore, molto probabilmente per il nostro gusto sarebbe assai poco gradevole ma, come affermavano gli stessi Romani, “de gustibus non disputandum est”.
Se i Romani, popolo mediterraneo, usavano come condimento principale l’olio, i popoli provenienti dal nord come i Galli preferivano il lardo e il burro. Gli ingredienti principali delle pietanze erano formaggi, carni ovine, caprine e suine, pollame e cacciagione, i cereali come l’orzo, l’avena, la segale e il panico, cereale dall’alto valore nutritivo; era diffuso il luppolo, i cui germogli erano usati per le zuppe, e con cui veniva prodotta la birra, che Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia chiama cerevisia, ma i Galli conoscevano e apprezzavano anche l’idromele e il vino, e addirittura Tito Livio riferisce che “essi varcarono le Alpi attratti dal vino e dalle messi”. Si nutrivano anche di frutta, in particolare noci e nocciole, e anzi sembra che siano stati proprio loro ad inventare la pasta di nocciole, che attraverso modifiche e con l’aggiunta del cacao, ai nostri giorni è diventata gianduia. Una delle pietanze più frequenti sulla tavola dei Galli era la zuppa di carne suina con verdure e cereali, che costituiva un piatto unico molto nutriente e calorico e che i Romani apprezzarono a tal punto da introdurla nel loro menù dopo la conquista delle Gallie da parte di Giulio Cesare.
Pamela Damiani@civetta.tv
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