“Quel presidio ci ha salvato la vita”, ecco perché l’ospedale di Cagli deve restare aperto
Cagli – “Negli anni ’90 ho sofferto di pneumotorace iperteso, sono arrivato al Pronto Soccorso di Cagli che mi rimanevano una ventina di minuti di vita”. Comincia così la storia del cagliese Bruno Cometti, una storia come tante altre che, negli anni, hanno avuto un lieto fine solo grazie alla presenza e all’efficienza dell’ex ospedale “G. Celli” di Cagli, convertito in Casa della Salute dal 2013. “Pensavo che si trattasse di un mal di schiena, invece, stavo per morire soffocato” continua Cometti, rivivendo quei concitati minuti, dove la differenza tra la vita e la morte la fa solo la tempestività e la competenza della persona che ti trovi davanti.
E ad accogliere Cometti al pronto soccorso di Cagli c’era un personale medico preparato e qualificato che, in pochi minuti, è riuscito a percepire la criticità della situazione, confermata dai raggi, e a praticare una manovra di emergenza perforando il costato e aspirando l’aria in eccesso grazie ad un apposita apparecchiatura.
“A Urbino non sarei mai arrivato, so per certo che se sono vivo, oggi, è solo perché ho avuto la fortuna di avere a disposizione, nel nostro territorio, personale qualificato e una struttura funzionante” conclude Cometti. Questa è solo una storia tra tante, una vita nascosta dietro un numero il cui valore si perde tra bilanci, dinamiche politiche ed interessi che trascendono dal rispetto di un diritto universale che non dovrebbe avere discriminanti territoriali: il diritto alla salute. “Nel 2010 mia madre, a seguito di una polmonite asettica, è stata rianimata ben tre volte dopo un arresto cardiaco dal personale medico del Pronto Soccorso di Cagli e intubata prima del punto di non ritorno” racconta, invece, la cagliese Melissa Catena.
Oltre a Bruno e Melissa abbiamo incontrato tante altre persone per le quali la presenza e l’efficienza del presidio ospedaliero e soprattutto del Punto di Primo Intervento garantito nelle 24 ore, ha fatto la differenza tra la vita e la morte. Persone di Cagli, ma anche e soprattutto persone, anziane, residenti nelle frazioni di un comune molto esteso o di altri comuni vicini, geograficamente più difficili da raggiungere, che distano anche un’ora dall’ospedale di Urbino. Nonostante manifestazioni, proteste, mobilitazioni, promesse dei consiglieri regionali e nonostante la richiesta di deroga dell’amministrazione Alessandri alla delibera 735 del 2013 per l’ospedale “A. Celli” di Cagli, considerato in zona disagiata, il percorso di depotenziamento e conversione in Casa della Salute continua inesorabile. Tra le ultime voci che continuano a rincorrersi, i tempi pare che si stiano restringendo ulteriormente, con la chiusura della chirurgia entro pochi giorni e la tanto temuta chiusura notturna del Punto di Primo Intervento entro la fine dell’anno. A questo punto non resta che una domanda: perché la vita di cittadini come Bruno, Melissa e dei tanti altri dislocati nei 580km del bacino di utenza del presidio di Cagli, dovrebbe valere di meno? Perché un diritto inviolabile come quello alla salute dovrebbe essere messo a repentaglio?
Chiara Azalea@riproduzioneriservata