Montecopiolo diviso tra i “SI” di chi vuole andare in Romagna e i “NO” di chi si vanta di essere marchigiano
Montecopiolo – Vivono con il fiato sospeso quelli del castello dove nacque la stirpe dei Duchi di Urbino. Da quando la Camera, a marzo, ha approvato il passaggio alla Romagna e il Senato deve dare l’approvazione finale. Dai commenti, si capisce chi è per Rimini e chi è pro Marche, le due anime che dividono il paese da quando vinse il “si” al referendum nel 2007.
Ormai sono 12 anni che il “si” e il “no” condizionano la politica del paese. Con i suoi 915 m slm, il terzo più alto comune delle Marche tuttora non fa parte dell’Unione Montana del Montefeltro. Il problema è che il referendum del 2007 di Montecopiolo e Sassofeltrio si è svolto sei mesi dopo quello che ha consentito il passaggio alla Romagna degli altri 7 comuni. E nonostante il “si” nel caso di Montecopiolo sfiorava il 58% del corpo elettorale e quello di Sassofeltrio quasi del 51%, non si perfezionò. La svolta a marzo 2019 quando la Camera, su iniziativa di onorevoli della Lega e del M5S, approva il Ddl 1144 sul distacco e passa al Senato l’approvazione definitiva. Il Presidente Ceriscioli chiede il 17 aprile di sospendere l’iter e di ridare voce ai cittadini, alla luce di una raccolta di oltre mille firme a favore del “NO”.
«E’ una questione di democrazia» gridano i più giovani. E se ne sono convinti loro che avevano solo 6 anni al momento della secessione degli altri 7 comuni dell’Alta Val Marecchia è facile immaginare cosa ne pensa chi, per 12 anni, ha visto il referendum di Montecopiolo e Sassofeltrio giacere, a Roma, nei cassetti del Parlamento.
I “SI” e i “NO” chiedono il rispetto dell’autodeterminazione dei popoli. Principio però che non può essere valutato ignorando i cambiamenti di questi ultimi dodici anni.
«Sono troppi – spiega Mauro Baldacci, sindaco dal 95 al 2004, porta voce del fronte del no – addirittura è cambiato il corpo elettorale». Cita i morti, la crisi economica, la globalizzazione che bypassa l’isolamento.
«Come se – tuona Elio Corazzini – fossero morti solo quelli del “si” e nemmeno uno del “no”». Con la moglie Serafina Lorenzi, Carla Guidi, moglie del sindaco Mazzocchetti (1985- 1995) e Renzo Pisani, in lista con l’ex sindaco Lattanzi (2009-2019) oggi alla minoranza, sono l’anima del comitato del Si. Nel 2007,l’interesse collettivo alla separazione la spiegavano con la storia e la geografia. Ricordavano l’unione ad opera di Napoleone alla Romagna, con Urbino nel 1808 e si vantavano del fatto che Rimini già nel ’46 includeva Montecopiolo nel suo progetto di diventare provincia. Poi hanno lasciato i gap della provincia di Pesaro fare il resto con il non investimento sulla viabilità e le sue conseguenze sul lavoro, sui percorsi scolastici, calzando sulla vicina sanità romagnola.
Oggi, emerge un mosaico d’interessi specifici ma anche il sentimento che i 7 Comuni andati in Romagna non sono del tutto soddisfatti. Paesi meravigliosi come Casteldelci, Maiolo, Pennabilli, San Leo, Sant’Agata Feltria e Talamello. In molti citano Novafeltria «spogliata di quasi tutti i suoi servizi», gli agricoltori parlano dei controlli «più rigidi», altri del costo maggiorato del bollo, delle assicurazioni e di medicinali che in Romagna si distribuiscono nei presidi sanitari mentre nelle Marche, la farmacia del paese è dispensa dell’ospedale».
Trasversale è la consapevolezza che il cambio non fa scivolare il paese a valle. «I problemi nostri, rimangono – sostiene uno a favore del Si – ma l’altra regione è più dinamica ed efficiente. Inoltre è una macchina turistica e gli ospedali più vicini».
La sanità è il vero ago che sposta le anime. Le file al Ps di Urbino, Pesaro presidio di riferimento, il rischio di finire in lunga degenza a Pergola. Dalla scorsa settimana, le Marche stanno valutando se predisporre un’ambulanza a Montecopiolo per ottimizzare i tempi d’intervento.
Véronique Angeletti@Civetta.tv